Con il nome "kilim" si identificano dei particolari pregiati tappeti persiani ottenuti con la tecnica della tessitura invece della più usuale annodatura e forse, proprio per mettere in evidenza una delle caratteristiche più evidenti del suo fare musica, Massimo Ferra ha voluto mutare il nome del suo trio da "Massimo Ferra Trio" ad appunto "Kilìm Trio". Ascoltando questo disco, infatti, si percepisce subito come la caratteristica principale del trio sia ricercare con particolare cura un'armonia di dialogo strumentale che ricordi appunto le fitte trame di quei tappeti e arazzi.
Il trio nasce in terra sarda nel 1994 come un progetto d'improvvisazione che, partendo da una base jazz, amplia i suoi riferimenti creativi includendovi le esperienze più disparate pur senza mai rendere i propri brani inutilmente ridondanti, ma anzi tendendo ad una notevole pulizia esecutiva, quasi un minimalismo sonoro in grado di restituire a pieno la semplicità e la ricchezza degli intrecci strumentali. E la fonte ispirativa primaria mi pare si possa trovare proprio nella terra d'origine dei tre musicisti, ovvero una Sardegna splendidamente immersa in una mediterraneità, insieme aspra e delicata, che emerge in tutta la sua freschezza nel tocco preciso ed appassionato di Ferra, un virtuoso del suo strumento che sa muoversi tra la tradizione della musica afroamericana - con evidenti richiami a strumentisti come Joe Pass o Pat Metheny - e quella della propria terra di cui costantemente si percepisce la fragranza.
I due compagni d'avventura non sono da meno: il puntuale contrabbasso di Massimo Tore dai toni particolarmente caldi e pastosi, senza rinunciare a convincenti spazi solitari è adatto a fungere da tappeto sonoro tra la chitarra acustica di Ferra e le sapienti percussioni di Roberto Pellegrini, che con il suo tocco leggero ed eloquente sa armonizzare i suoni dei compagni o diventare lussureggiante protagonista come nella traccia che dà il titolo all'album, costruita dalle percussioni etniche particolarmente espressive ed originali.
Registrato in presa diretta, cosa sempre più rara di questi tempi, Kilìm è in grado di restituire tutta la raffinatezza e l'immediatezza dell'interplay di questi musicisti che si confrontano in uno spazio denso di sfumature e richiami in una ricerca improvvisativa che può vivere d'estemporaneità ed immediatezza come nelle cortissime tracce Creta, Klee, Lizard, Ocra infilate l'una dietro l'altra come una sorta di collana di cristalli cangianti e multicolori, oppure nello sviluppo di linee melodiche interessanti come nel cantabile Adieu, brano che pare ricordare il miglior Frisell più acustico e sognante. Sicuramente degne di nota sono Meigama, lunga ballad dalla irresistibile languida dolcezza, le astrazioni quasi matematiche di Tristi mantidi, Green con le sue armonizzazioni "Metheny-style" e Nowhere con il suo senso di spaesamento.
Un buon disco questo Kilìm, non troppo immediato, ma anzi da scoprire pian piano, assaporandone i singoli passaggi nati da un'ispirazione profonda, ed evidente frutto di una collaborazione fattiva fra tre musicisti rispettosi delle proprie radici, ma per nulla timorosi di arricchirle con pulsioni provenienti da altre culture.